Fuga verso il privato: la crisi della sanità pubblica italiana
La crisi della sanità pubblica in Italia è ormai evidente e sta spingendo sempre più pazienti a rivolgersi al settore privato. Uno dei modi per comprendere appieno la situazione è analizzare il rapporto tra la spesa sanitaria delle Regioni, ovvero tutti i costi sostenuti nell’arco di un anno per la cura dei cittadini, e il PIL. Secondo le previsioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nei prossimi anni questo rapporto scenderà a livelli estremamente bassi, raggiungendo appena il 6,2% nel 2025 e nel 2026, dopo aver toccato il 6,7% nel 2023.
Va sottolineato che l’Italia, a prescindere dall’amministrazione al potere, non è mai stata particolarmente generosa con ospedali, medici e infermieri. Dal 2001 al 2019, il numero di posti letto è diminuito di 65.000 unità. Negli ultimi anni, nonostante l’inevitabile invecchiamento della popolazione, il rapporto tra spesa sanitaria e PIL è sempre rimasto al di sotto del 7%, ad eccezione del periodo dell’emergenza Covid, durante il quale il governo ha destinato risorse straordinarie per fronteggiare la pandemia. A confronto, la media europea si attesta sull’8%, con Paesi come Francia e Germania che investono addirittura intorno al 10%. È evidente che si potrebbe fare molto di più per il sistema sanitario italiano.
Nel frattempo, mentre la spesa pubblica rimane inadeguata a risollevare un sistema in difficoltà, specialmente per quanto riguarda organici e tempi di attesa per le cure specialistiche, il settore privato continua a prosperare. Nel corso degli anni, sono aumentati i fondi destinati alle strutture sanitarie private convenzionate, come cliniche e centri diagnostici che operano per conto del servizio sanitario nazionale. Secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2002 queste strutture ricevevano 14 miliardi di euro per le loro attività, mentre nel 2021 tale cifra è salita a 25 miliardi, sebbene nel 2020 la crescita sia stata interrotta a causa della pandemia. Se consideriamo solo le strutture territoriali accreditate, come laboratori, ambulatori e consultori, e non le cliniche con servizi di ricovero, possiamo notare che nel 2000 rappresentavano il 38,9% dell’offerta sanitaria totale finanziata dallo Stato. Vent’anni dopo, questa percentuale è salita al 58%, come riportato nel rapporto Oasi dell’Università Bocconi. Alcune regioni italiane hanno subito una notevole esternalizzazione delle loro strutture sanitarie: ad esempio, il Piemonte è passato dal 23,9% al 64%, la Lombardia dal 34% al 70%, l’Emilia Romagna dal 31% al 57%, e la Puglia dal 38% al 63%.
I privati non solo beneficiano delle risorse delle aziende sanitarie, ma incassano anche direttamente dai cittadini. Questa spesa, nota come “out of pocket”, rappresenta i pagamenti che gli italiani effettuano di tasca propria per servizi quali risonanze magnetiche, ecografie, visite ginecologiche o pediatriche, anche in regime di intramoenia, con tempi di attesa accettabili rispetto a quelli del settore pubblico, a volte estremamente lunghi. Secondo i dati elaborati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) dell’Osservatorio sui consumi privati in sanità dell’Università Bocconi (che tiene conto anche delle spese per le assicurazioni sanitarie), questa spesa privata ammontava a 34,4 miliardi di euro nel 2012 e ha raggiunto i 41 miliardi nel 2021, registrando un aumento del 20% in dieci anni. Di questi, circa 20 miliardi sono spesi dagli italiani per prestazioni specialistiche, compresa l’odontoiatria, mentre altri 15 miliardi sono destinati all’acquisto di farmaci, attrezzature terapeutiche e altri prodotti medici. Vi sono inoltre quasi 6 miliardi di euro destinati a ricoveri ospedalieri o in strutture di lungodegenza, anche se questa voce ha un impatto minore poiché solo pochi possono permettersi interventi chirurgici e degenze nel settore privato. La spesa privata diretta degli italiani testimonia l’incapacità del sistema sanitario pubblico di rispondere adeguatamente alle esigenze di base della popolazione.
È importante notare che i numeri relativi all’attività del settore privato non tengono conto di una fascia significativa di cittadini che non possono permettersi di pagare per prestazioni private. Spesso, di fronte a lunghe attese nel settore pubblico, talvolta dovute anche all’inappropriatezza di numerose prescrizioni, queste persone sono costrette a rinunciare alle cure necessarie. Secondo l’ISTAT, circa 2,5 milioni di italiani si trovano in questa situazione, essendo di fatto esclusi dal sistema sanitario.
Fonte: repubblica.it