Autonomia Differenziata: un futuro di maggiori disparità nel sistema sanitario italiano
Finora, le due linee hanno viaggiato parallele, ma con l’autonomia differenziata potrebbero divergere. Quella superiore si eleverà, mentre quella inferiore scenderà ulteriormente. L’ambito sanitario offre un’ottima prospettiva per capire l’impatto della riforma approvata.
Dal 2001, le competenze sull’assistenza ai cittadini sono in gran parte state delegate alle Regioni, nel tentativo di risollevare le aree più in difficoltà tramite il federalismo. Tuttavia, i dati dimostrano che le diseguaglianze tra Nord e Sud sono rimaste pressoché invariate. Secondo molti osservatori, tra cui sindacati, ricercatori universitari e non, centri studi, partiti di opposizione e professionisti, l’autonomia differenziata potrebbe peggiorare la situazione: rafforzerà ulteriormente chi è già forte e farà sprofondare chi è debole, spingendo professionisti e pazienti verso le Regioni più efficienti, a discapito del sistema sanitario pubblico e universale.
La riforma e il contesto ministeriale
La riforma è stata approvata mentre il Ministero della Salute, guidato da Orazio Schillaci, continua a emanare provvedimenti di carattere nazionale, come il decreto legge sulle liste d’attesa, che fornisce regole senza però finanziare le Regioni.
Differenze regionali nell’assistenza sanitaria
La distinzione tra Nord e Sud è una semplificazione. Esistono tre o quattro gruppi di Regioni con livelli di assistenza differenti. Federico Spandonaro, professore a Tor Vergata, ha recentemente presentato il dodicesimo rapporto Crea Sanità, che classifica le Regioni in base alle performance: promosse con voti alti, sufficienti, “rimandate” e fortemente insufficienti. Sardegna, Campania, Lazio, Umbria, Abruzzo, Puglia, Sicilia, Molise, Basilicata e Calabria rientrano nelle ultime due categorie. Le diseguaglianze nel settore sanitario sono sempre esistite, e già nel 1978 si cercava di eliminarle. Recentemente, il Sud ha fatto qualche progresso, ma anche le Regioni più virtuose sono migliorate, offrendo molte prestazioni extra Lea, i Livelli essenziali di assistenza, precursori dei nuovi Lep (Livelli essenziali di prestazioni) previsti dalla riforma.
Indicatori di salute: aspettativa di vita e mortalità neonatale
I numeri raccontano la storia della sanità italiana. L’aspettativa di vita, strettamente legata all’assistenza, varia: nel 2023, quella delle donne era di 85,1 anni, con punte di 86,5 anni in Trentino-Alto Adige e 83,6 in Campania. Per gli uomini, la media era di 81,1 anni, con le stesse Regioni agli estremi della classifica. La mortalità neonatale è un altro indicatore: al Nord è di 1,14 per mille nati vivi, al Centro 1,42 e al Sud 2,24 (per gli stranieri rispettivamente 2,10, 2,91 e 3,97). Guido Quilici, presidente del sindacato dei medici ospedalieri Cimo, sottolinea che i piani di rientro per le Regioni con bilanci in rosso hanno limitato le possibilità di investimento al Sud.
Disparità di risorse e servizi
La mancanza di fondi impedisce l’attivazione di servizi. Secondo Istat, al Nord ci sono 98,5 letti in residenze per anziani ogni 10.000 abitanti, al Centro 56,5 e al Sud 33,4. Il Ministero della Salute riporta che ci sono 3,7 letti ospedalieri per mille abitanti in Piemonte, 2,6 in Sicilia e 2,2 in Calabria. Il rapporto Svimez “Un Paese, due cure” ha evidenziato che nel 2022 il 70% delle donne italiane tra 50 e 69 anni ha aderito allo screening per il tumore al seno, con percentuali che vanno dall’80% del Nord al 58% del Mezzogiorno. Nel 2022, 140.000 pazienti sono usciti da Sicilia, Calabria, Puglia e Campania per ricevere cure altrove, con 62.000 di loro (44%) diretti in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Effetti negativi previsti dall’autonomia differenziata
Con l’autonomia differenziata, la situazione potrebbe peggiorare. Piero Di Silverio, segretario del sindacato dei medici Anaao, prevede che i cittadini delle Regioni con minori risorse fiscali si rivolgeranno al privato o cercheranno assistenza nelle Regioni più ricche, aumentando i “viaggi della speranza”. Le Regioni più sane potrebbero rifiutare i pazienti da fuori per mancanza di budget, annullando il principio di solidarietà.
La competizione per il personale sanitario
Spandonaro ritiene necessari altri due anni per avviare la riforma, soprattutto per comprendere quali materie richiederanno l’autonomia le Regioni più forti. La competizione per il personale è un problema cruciale: le Regioni con più risorse potranno offrire stipendi più alti, causando una mobilità professionale che penalizzerà le Regioni più povere e peggiorerà il loro sistema sanitario. Infine, i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, devono ancora essere definiti e finanziati, aggiungendo ulteriore incertezza.
Fonte: repubblica.it