Istat pubblica i dati sulle rinunce alle cure nel 2020
Il 3 giugno, in Commissione Bilancio della Camera sul decreto legge maggio 2021, sì è svolta l’Audizione del Direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, Francesco Maria Chelli.
Sono stati evidenziati i dati sulle rinunce alle cure sanitarie.
Quello che segue è un estratto del testo dell’audizione che riguarda proprio le rinunce alle cure.
Il decreto-legge in esame prevede interventi al fine di ridurre le liste di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie. La possibilità di accedere alle prestazioni sanitarie è, del resto, un aspetto rilevante per l’equità del sistema sanitario. Un indicatore utile per misurare l’equità nell’accesso è la rinuncia a prestazioni sanitarie, come visite specialistiche (a esclusione di quelle odontoiatriche) o accertamenti diagnostici. Sia per problemi economici o legati a caratteristiche dell’offerta, come lunghe liste di attesa o difficoltà nel raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. Nel 2020, in Italia, quasi 1 cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato, pur avendone bisogno, a visite o accertamenti negli ultimi 12 mesi per motivi legati a difficoltà di accesso. Nel 2019 la quota era pari al 6,3%.
Il dato che si registra nel 2020 è certamente straordinario, in aumento rispetto all’ultimo anno di 3,3 punti percentuali. Ma è dovuto alla particolare situazione legata alla pandemia da COVID-19. Le restrizioni imposte per contenere i contagi, il timore di contrarre infezioni, ma soprattutto la chiusura nel periodo del lockdown di molte strutture ambulatoriali – le cui attività sono state dirottate sul contrasto al virus – e la sospensione dell’erogazione dei servizi sanitari rinviabili, non ha consentito l’accesso a prestazioni necessarie. Il tutto, accumulando ulteriori ritardi e allungamenti delle liste d’attesa, con un danno in termini di salute pubblica, ancora non del tutto misurabile. Tra quanti hanno indicato almeno un motivo di rinuncia, circa la metà ha segnalato come causa un problema dovuto al COVID-19.
Questo risultato rappresenta evidentemente un’eccezione rispetto a quanto rilevato negli anni
precedenti, quando i motivi prevalenti di rinuncia erano in primo luogo di tipo economico. E in secondo luogo, di lunghezza dei tempi di attesa. Prima dell’epidemia, l’andamento dell’indicatore aveva fatto registrare un calo in tutto il territorio nazionale, passando dall’8,1% nel 2017 al 6,3% nel 2019. La flessione era stata registrata in tutte le regioni, pur con le note disuguaglianze territoriali a svantaggio del Mezzogiorno. (7,5% rispetto al 5,1% del Nord nel 2019).
Nel 2020, invece, in alcune regioni del Nord, quali Piemonte, Liguria, Lombardia e Emilia-Romagna, la percentuale di quanti hanno dovuto rinunciare a una visita o accertamento è raddoppiata rispetto all’anno precedente. In gran parte dei casi, il motivo della rinuncia indicato è legato all’emergenza pandemica (58,6% in Lombardia, 57,7% in Liguria, 52,2% in Emilia Romagna e 48,5% in Piemonte).