Pubblicato Rapporto BES 2020: 10% degli italiani ha dovuto rinunciare alle cure
Il 10 marzo, l’Istat ha pubblicato il Rapporto BES 2020 (Benessere Equo e Sostenibile).
Il BES è un insieme di indicatori che hanno lo scopo di valutare il progresso della società, non solo dal punto di vista economico, ma anche sotto l’aspetto sociale e ambientale. Dal 2018 gli indicatori BES sono stati inclusi tra gli strumenti di programmazione e valutazione della politica economica nazionale. Il Ministero dell’economia e delle finanze deve presentare una relazione annuale al Parlamento al fine di stimare gli effetti della manovra economica sull’andamento degli stessi indicatori.
In ambito internazionale si possono segnalare quelli utilizzati da istituzioni quali l’ONU, l’UE e l’OCSE. In ambito nazionale, è il progetto BES, con iniziativa congiunta di CNEL e di ISTAT, ad individuare le misure più idonee a rappresentare il progresso del Paese verso l’incremento del benessere dei cittadini. Esso considera 12 dimensioni (articolate in 130 indicatori), come ad esempio la salute, l’istruzione, l’ambiente, la qualità dei servizi. Dal progetto scaturisce ogni anno dal 2013 un rapporto, giunto alla sua ottava edizione.
A dieci anni dall’avvio del progetto, il Rapporto BES fa anche un’analisi di quanto successo negli ultimi 10 anni.
Nel periodo 2010-2018 diminuiscono posti letto nei reparti ad “elevata assistenza” e cresce mobilità sanitaria.
Gli indicatori sulla qualità dei servizi sanitari mostrano una riduzione dei posti letto nei reparti a elevata intensità assistenziale tra il 2010 e il 2018 (da 3,51 per 10mila abitanti a 3,04). Ed una crescita costante del tasso di mobilità per motivi di cura dalle regioni meridionali e dal Centro tra il 2010 e il 2019. Da 9,2 a 10,9 ogni 100 dimissioni di residenti nel Mezzogiorno, da 7,4 a 9 nel Centro.
I dati del Rapporto BES mostrano un peggioramento relativo delle chance di cura in alcuni territori. Il tasso di mobilità per motivi di cura dalle regioni meridionali e dal Centro era già significativamente più alto nel 2010. Da allora è in costante crescita. E il gap tra territori si è ulteriormente ampliato (Figura 3). È molto probabile che il dato del 2020 mostrerà un calo, che tuttavia non sarà da leggere come elemento positivo di riduzione delle disuguaglianze territoriali. Sarà infatti il risultato delle limitazioni negli spostamenti determinate dalle misure di contrasto alla pandemia di COVID-19 e della diminuzione delle prestazioni conseguente all’emergenza sanitaria.
Il 10% degli italiani ha dovuto rinunciare alle cure per difficoltà di accesso.
Nel 2020, un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a prestazioni sanitarie per difficoltà di accesso, pur avendone bisogno. Il forte aumento (6,3% nel 2019) è certamente straordinario: oltre il 50% di chi rinuncia riferisce infatti motivazioni legate alla pandemia da Covid-19.
Il dato che si registra nel 2020 è straordinario, in aumento rispetto all’ultimo anno di oltre il 40%, per la particolare situazione legata alla pandemia da COVID-19.
Le restrizioni imposte per contenere i contagi, il timore di contrarre infezioni, ma soprattutto la chiusura nel periodo del lockdown di molte strutture ambulatoriali, le cui attività sono state dirottate sul contrasto al virus e la sospensione dell’erogazione dei servizi sanitari rinviabili, non ha consentito l’accesso a prestazioni necessarie, accumulando ulteriori ritardi e allungamenti delle liste d’attesa. Con un danno in termini di salute pubblica che ancora non è del tutto misurabile.
Nel 2020, in alcune regioni del Nord, quali Piemonte, Liguria, Lombardia e Emilia-Romagna, la percentuale di quanti hanno dovuto rinunciare a una visita o accertamento è raddoppiata rispetto all’anno precedente. In gran parte dei casi, il motivo della rinuncia indicato è legato all’emergenza pandemica (58,6% in Lombardia, 57,7% in Liguria, 52,2% in Emilia-Romagna e 48,5% in Piemonte).