Chirurgia nel post Covid: recupero prestazioni troppo lento. Sanità digitale e rete ospedale-territorio tra le priorità delle Regioni
Il Covid oggi fa un po’ meno paura, ma resta drammatica la situazione per molte delle 600 mila persone (di cui 50mila in oncologia) che, durante il lockdown, hanno visto chiudersi le porte delle sale operatorie e sentirsi dire che era necessario rimandare l’intervento ad emergenza finita. Stenta infatti a riprendere a pieno regime l’attività chirurgica nelle strutture ospedaliere.
È quanto emerso dalbilancio sulla sanità italiana dopo l’emergenza Covid, primo appuntamento dopo la pausa estiva del format ideato da Sics, Quotidiano Sanità e Popular Scienc, per approfondire i temi della sanità. Al dibattito, rigorosamente via web, hanno partecipato gli assessori alla Sanità di Emilia-Romagna, Raffaele Donini,e Sicilia, Ruggero Razza, sintetizzando le loro priorità e lanciando idee e provocazioni al Governo, Pierluigi Marini (Acoi), Giovanni Scambia (Sigo), Mattia Altini (Simm), Gianfranco Gensini (Sit).
A lanciare per primo l’allarme è stato Pierluigi Marini, Presidente dell’Associazione dei Chirurghi ospedalieri italiani.
La prospettiva di cospicui finanziamenti, come Recovery Fund e Mes, da destinare alla sanità non poteva non trovare spazio nel corso del dibattito in cui la parola chiave della “riorganizzazione” poco significato avrebbe senza la parola “risorse”. Rappresentano infatti due occasioni importanti per la sanità italiana ma sui cui pesa ancora una profonda incertezza. Le Regioni, però, preparano nel frattempo i loro programmi d’investimento.
Tra le priorità, Donini ha parlato d’investimenti sulle strutture sanitarie, di tecnologia, di integrazione tra hub ospedalieri e territorio, di potenziamento delle Case salute. “Vogliamo puntare sui grandi hub ospedalieri evitando l’errore di trasformali in una rete competitiva. Perché – ha detto l’assessore – il Covid ci ha insegnato che l’unica strada è quella di essere maglie di una rete che collabora e interagisce. Una continuità di strutture che però, individualmente, devono realizzare al massimo la propria vocazione”.
Dal canto suo l’assessore alla Salute della Sicilia, Ruggero Razza, si è invece “rifiutato” di parlare di interventi finanziati con il Recovery Fund e il Mes. “Potrei elencarne molti, ma che senso avrebbe se non c’è contezza dell’effettività di queste risorse? Sul Mes c’è divisione, più incerta ancora la sorte del Recovery Fund”. “Non riesco a non essere sincero – ha chiarito Razza – e mi chiedo con quale credibilità il Governo riesca a parlare di temi così strategici se non riesce neanche a liberare tutte le risorse dell’ex art. 20… Ritengo che il governo centrale debba decidersi ad affrontare il tema delle risorse aggiuntive in maniera più seria, perché al momento questa serietà francamente non la vedo”.
Sul tema della telemedicina e della sanità digitale, anch’esse grandi protagoniste del dibattito, Razza ha esplicitamente esortato ad avere una visione non regionale né interregionale, bensì nazionale a tutti gli effetti. “Che una persona di Catania, accolta in pronto soccorso a Cuneo non possa accedere ai suoi dati conservati nella Asl di provenienza, oggi, con le tecnologie disponibili è inconcepibile” ha spiegato. Per fare questo servono due cose fondamentali: “Una regia nazionale, che per esempio potrebbe essere implementata in capo all’Agenas che invece il governo sembra voglia depauperare del proprio ruolo e, naturalmente, quei binari informatici veloci rappresentati dalla banda larga che deve essere diffusa su tutto il territorio nazionale”.
I dati che emergono da una Survey svolta dall’Acoi su 600 centri italiani sono preoccupanti. “Solo il 60% dei centri ha ripreso al 100% l’attività di chirurgia oncologica, ancora più preoccupante il dato per la chirurgia elettiva, ferma al 25-30%. L’unico dato che conforta è quello relativo all’attività chirurgica in urgenza, che ha ripreso la sua attività al 90%, segnale che le persone hanno ripreso ad andare in ospedale, in caso di emergenza invece di restare a casa per paura contrarre il Covid in ospedale”.
Tra i motivi di fondo di tale ritardo la difficoltà nel reperire personale, ancora impegnato sul fronte Covid, la disponibilità di sale operatorie e, non ultima, l’esigenza di risorse strumentali e tecnologiche utili per intervenire con maggiore efficacia, efficienza e migliori esiti. Invece le liste d’attesa anziché diminuire si allungano e nel frattempo, la salute dei pazienti peggiora: “Ci troviamo a trattare complicanze e quadri clinici a cui non eravamo più abituati, proprio per la tempestività con cui avvenivano nella maggior parte dei casi le diagnosi e gli interventi”, ha detto Marini chiedendo quindi un impegno delle Istituzioni per “un piano di rilancio della professione di chirurgo e dell’attività chirurgica, anche attraverso nuovi investimenti”.
Anche per Mattia Altini, presidente della Società Italiana di leadership e Management in Medicina, “non bisogna perdere l’occasione di ripensare il sistema sanitario nazionale e quelli regionali nell’ottica di traghettarli verso punti di eccellenza che sono già presenti in alcune parti del Paese”. La parola d’ordine, per Altini, è operation management, “in modo da efficientare tantissimo le piattaforme chirurgiche affinché operino con il massimo rendimento”. Uno dei temi “più rilevanti”, per il presidente della Simm, è poi quello della “integrazione, che deve innanzitutto passare nella capacità di far transitare le informazioni sanitarie tra tutti i nodi della rete”.
L’unico modo per realizzare questo salto in avanti, secondo Altini, è portando ai massimi livelli l’informatizzazione. “Questo tipo di progetti sul futuro potrebbero essere finanziati anche attraverso il Recovery fund e il Mes. Permettendo, secondo le nostre stime, un aumento del 20% della produttività senza bisogno di iniettare nuove risorse”.
Visione condivisa da Gianfranco Gensini secondo cui il Covid, nel suo dramma, ha reso evidente l’imprescindibile utilità di modelli come la televisita, il teleconsulto, l’ospedalizzazione domiciliare, nonché “la creazione di una intelligenza collettiva che fondi le sue basi sulla collaborazione tra i medici di medicina generale e specialisti ospedalieri”. Per Gensini è ora di chiudere l’epoca delle “sperimentazioni” per realizzare “modelli reali, applicabili e soprattutto diffusi e non troppo diversificati tra loro”. Per il presidente Onorario della SIT, in definitiva, “c’è bisogno di un sistema nazionale che affronti in modo organico le sfide non più tanto del futuro ma del presente”. Con la necessità di una maggior consapevolezza, certamente non celata neanche dai rappresentanti politici, che le questioni della medicina, della sanità, dell’assistenza non possono più essere appannaggio di singole realtà territoriali in maniera disomogenea, ma rappresentano un problema, un valore, una sfida dell’intero sistema Paese.