Studio Ocse: sanità, liste d’attesa infinite e costi proibitivi, il 5% dei meridionali rinuncia alle cure
Venerdì scorso a Bari è stato presentato il rapporto State of Health in the EU: Italy. Country Health Profile 2019, nell’ambito di un evento organizzato dall’Aress Puglia in collaborazione con Commissione europea, Ocse e Osservatorio Europeo sui sistemi sanitari e sulle politiche sanitarie.
Il rapporto analizza e paragona il sistema sanitario italiano rispetto a quello degli altri 26 Stati membri della Unione Europea, e fa riferimento all’anno 2017. Emerge che il 2% circa della popolazione italiana ha denunciato un bisogno sanitario non soddisfatto, per colpa di liste di attesa troppo lunghe e costi eccessivi degli esami privati. Ma, analizzando i dati, si vede che al Sud la percentuale di persone che ha rinunciato alle cure sale al 5%, mentre al Nord scende all’1%.
«I dati sui bisogni sanitari non soddisfatti – si legge nel report – indicano notevoli differenze di accesso alle cure tra le regioni: i cittadini delle regioni meridionali, meno prospere, hanno una probabilità quasi doppia di riscontrare un bisogno sanitario non soddisfatto rispetto a quelli nelle più ricche regioni settentrionali. Nelle regioni meridionali è superiore anche il tasso di bisogni sanitari non soddisfatti legati ai tempi di attesa e alle distanze da percorrere».
L’Ocse non individua le cause del problema, analizza solamente la situazione. Basterebbe però dare uno sguardo ai documenti ufficiali della Corte dei conti, ai bilanci delle Regioni e agli studi di Osservatori di ricerca: dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%. Altrettante regioni del Sud, invece, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.
Tradotto in euro: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più. Soldi in meno, servizi in meno: ecco come si spiegano le diseguaglianze.
Meno fondi significano meno medici, meno infermieri, meno operatori sociosanitari, meno macchinari: risultato, liste di attesa più lunghe e sanità negata.
Nel 2017 – mette nero su bianco la Corte dei conti – con qualche lieve variazione rispetto agli anni dal 2012 al 2016, il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è assorbito dalle Regioni del Nord, il 20% dalle Regioni del Centro, il 23% da quelle del Sud, il 15% dalle Autonomie speciali.
Sempre il rapporto dell’Ocse riconosce che l’Italia ha la seconda più alta speranza di vita in Europa, ma ci sono notevoli disparità tra le regioni, per genere e situazione socioeconomica. «Nel complesso – si legge nel rapporto – il sistema sanitario italiano è efficiente, e garantisce un buon accesso a prestazioni sanitarie di elevata qualità a costi relativamente bassi, sebbene si registrino differenze considerevoli tra le Regioni. Le principali sfide per il sistema sanitario italiano consistono nel migliorare il coordinamento delle prestazioni sanitarie per la crescente fascia della popolazione affetta da malattie croniche, e ridurre le disparità di accesso alle cure».
Chi abita nelle «regioni più abbienti del Nord», sottolinea l’Ocse, vive oltre tre anni in più rispetto a chi risiede in quelle meno ricche del Sud. Nel 2017 la regione con la speranza di vita alla nascita più alta era il Trentino-Alto Adige, i cui cittadini avevano una speranza di vita di tre anni superiore rispetto alla Campania, la regione in cui la speranza di vita era la più breve
Al Nord, per ogni mille abitanti ci sono 12,1 dipendenti nel comparto sanità: medici e infermieri, tecnici di laboratorio, amministrativi, operatori sociosanitari. Al Sud la media si abbassa drasticamente, sino a 9,2 dipendenti ogni mille residenti. Una bella differenza!