TURISMO SANITARIO IN EUROPA, IERI, OGGI, DOMANI
Con un’intervista dell’agosto scorso, il dottor Enric Mayolas, medico spagnolo e già direttore delle relazioni internazionali al dipartimento della Salute del Governo regionale della Cataluña (Spagna), ha risposto ad alcune delle domande che più ci poniamo in materia di turismo medico. Cerchiamo di capire chi sono i “pazienti turisti” e quale è il motivo per il quale decidono di non curarsi a casa propria.
Tutti parlano di turismo sanitario, ma di cosa si tratta esattamente?
“Il turismo medico è un fenomeno mondiale” spiega Mayolas. “È una grande industria che sta incrementando i suoi fatturati non solo nel comparto terme, ma anche in quello curativo e specialistico. Come strategia globale è relativamente recente. Le persone sono sempre state attratte dalla fama di un medico e dai suoi risultati, ma oggi ci troviamo di fronte a un fenomeno economico e sociale caratterizzato da diverse strategie, in cui sono coinvolte sia l’iniziativa privata che i governi”.
Che tipo di cure cercano i pazienti che si spostano?
“C’è chi cerca una cura che a casa propria non c’è. C’è chi si sposta in una struttura nota per offrire un’alta qualità del servizio di cui ha bisogno. C’è il viaggiatore a cui insorgono problemi di salute durante le vacanze. C’è chi risiede in un paese straniero e non riesce a rientrare per le cure. C’è chi non può permettersi di pagare una cura e cerca una destinazione che la offre a un prezzo minore. Chi si sposta, lo fa per diversi motivi, ma in definitiva cerca quello che non ha nel proprio paese. Vuoi per mancanza di tecnologie, esperienza o questioni legali. La maggior parte dei pazienti turisti, secondo le statistiche, si rivolge all’estero in cerca di cure migliori per le malattie oncologiche, per la pediatria di alta complessità, per la traumatologia e ortopedia complessa”.
Quali caratteristiche deve avere una destinazione che si affaccia sul mercato del “turismo medico”?
“Le chiavi per diventare una destinazione di interesse per i pazienti sono diverse: innanzitutto devi essere attrattivo e quindi avere un posizionamento, un’immagine e un marchio riconosciuti. In secondo luogo, viene l’accessibilità alla destinazione. Devi essere raggiungibile facilmente e quindi offrire trasporti, trasferimenti dagli aeroporti, treni. Insomma, facilitare l’arrivo e l’accoglienza delle persone. Sono servizi su cui ovviamente si deve investire prima di lanciarsi su questo mercato, non dopo. C’è poi l’offerta dei servizi medici: su quale mercato ci si vuole posizionare? Wellness, medicina estetica, chirurgia plastica, balneoterapia? O ancora ortopedia, cardiovascolare, oftalmologia, oncologia, medicina cosmetica e diagnostica? Insomma, bisogna saper individuare il settore in cui si può offrire un alto livello di cura e garantire la bravura dei propri medici. C’è poi la questione della qualità, che è fondamentale. Esiste un accreditamento internazionale che viene conferito dalla JCI, la Joint Commission International, o dalla ISQua (International Society for Quality in Health Care) o dall’EFQM (European Foundation for Quality Management), che identifica un livello di qualità di servizio che per alcune assicurazioni diventa imprescindibile per il rimborso dei costi della cura C’è anche un accreditamento su l’adattamento specifico di servizi destinati ai pazienti internazionali conferito dalla MTQUA (Medical Travel Quality Alliance) che indica capacità di accoglienza, lingue parlate, adattamento socio-culturale, sicurezza della trasmissione dati dall’estero, politica dei prezzi, ecc. Attenzione però: la qualità non deve essere riconosciuta solo dalle assicurazioni, ma anche dai pazienti, dal sistema sanitario, dai broker. Se si sceglie un target di pazienti (russi, arabi, cinesi?) ci si deve preparare ad accoglierli culturalmente e socialmente. Ci si deve chiedere: cosa manca al paziente quando va all’estero rispetto al suo paese? E quindi si deve offrire un servizio che risponda alle loro esigenze e aspettative. Diventare una destinazione attrattiva è una questione di sistema, deve coinvolgere il pubblico e il privato, non la singola struttura, perché il processo è complesso. Se hai dei medici bravissimi, ma i tuoi alberghi non sono all’altezza delle aspettative degli ospiti, oppure vi sono dei vincoli legati al visto di ingresso, non rappresenterai una destinazione di richiamo per il turismo sanitario. E quindi il prezzo: la tariffa che si espone sul sito web deve essere molto chiara e offrire sistemi di pagamento internazionali e in più valute estere, deve includere tutti i servizi, compreso il supporto post-intervento, ed essere adeguata al mercato. Non devono esserci costi nascosti o prezzi diversi per lo stesso servizio”.
I servizi sanitari di altri Paesi si sono da tempo attrezzati per offrire prestazioni sanitarie di elevata qualità, a pagamento.
“Il turismo sanitario non riempie gli alberghi. Ci deve essere una pianificazione di marketing congiunto, va creato un marchio che garantisca la qualità della destinazione. In Germania, per esempio, la promozione del turismo sanitario è un obiettivo di Stato. Nel mondo ci sono molti esempi di buone pratiche. Dal 2002 alle isole Barbados, nei Caraibi, opera un centro di fertilità che aiuta le coppie sterili di tutto il mondo a realizzare il loro sogno di avere un figlio, coniugando l’offerta turistica – un ambiente tranquillo e privo di stress su un’isola paradisiaca – con un servizio di alta qualità”.
Rimanendo tra i confini europei, dal 2011 esiste una direttiva UE sulle cure transfrontaliere, in vigore in Italia grazie al Decreto Legislativo n. 38 del 4 marzo 2014 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 21 marzo 2014) che permette ai cittadini di ottenere assistenza sanitaria in un altro Paese dell’Unione Europea, scegliere il professionista sanitario a cui rivolgersi e la struttura sanitaria dove curarsi, ottenere più facilmente il riconoscimento della ricetta rilasciata dal proprio medico o da un medico di un altro Stato membro al fine di ricevere un farmaco o dispositivo medico e ricevere un rimborso delle spese sostenute per le cure ricevute e i farmaci o dispositivi medici acquistati.
Questi i diritti sanciti dallo strumento normativo, ma quale impatto reale ha avuto a cinque anni dalla sua entrata in vigore?
“L’adesione è stata molto scarsa”.
Perché?
“Innanzitutto, la direttiva non è stata molto pubblicizzata. In secondo luogo, il paziente deve anticipare il pagamento della cura. Poi non è previsto il rimborso per lo spostamento e infine ci vuole una autorizzazione preventiva. Queste procedure sfiduciano il paziente”.
In un quadro di globalizzazione e competizione internazionale, quale scenario si apre quindi per questo settore, di cui non disponiamo di informazioni e statistiche affidabili?
“La domanda c’è ed è in crescita. I medici sono disposti a spostarsi verso le destinazioni di eccellenza e le informazioni tra i pazienti circolano più velocemente e facilmente. La liberalizzazione e la deregolamentazione dei mercati facilitano poi la crescita di questo settore. Ma la sfida si gioca sul superamento degli ostacoli interni, come la limitata offerta tecnologica, le opportunità di negoziazione, la resistenza dei mercati. Purtroppo, non disponiamo di molti dati sull’indotto reale e sui movimenti perché non c’è un obbligo di legge di renderli pubblici. E dunque molte destinazioni non informano su dove vanno a “pescare” e come riescono ad attirare i loro pazienti”.